Vito Di Modugno - East Side
L’affermazione nel referendum delle celebre rivista statunitense Down Beat, che lo ha inserito nella top ten mondiale dei solisti di organo Hammond, ha incoraggiato il barese Vito Di Modugno – e con lui il discografico Sergio Veschi, patron della Red Records – a insistere sulla strada intrapresa di un «hard bop» personale, ma al contempo per nulla vergognoso della propria discendenza stilistica da quel «Blue Note Sound» che resta tutt’oggi fra i più amati dagli appassionati. E i fasti della celebre etichetta fondata nel 1939 da Francis Wolf e Alfred Lion vengono rievocati non appena si scorre la copertina del cd East Side, nel quale il Nostro, oltre ad aver allestito una formazione ampia, degna di certe sedute di Jimmy Smith (si pensi a The Sermon o House Party), ha inserito anche Zoltan, The Moontrane e Softly As in a Morning Sunrise, ovvero tre temi tratti da Unity, l’album del 1965 nel quale l’indimenticato Woody Shaw aveva «incrociato» la propria tromba con il sax di Joe Henderson e, soprattutto, l’organo Hammond di Larry Young (il batterista, per la cronaca, era Elvin Jones).
Sostenuto dai fidati Pietro Condorelli alla chitarra e Massimo Manzi alla batteria, Di Modugno ospita allora la tromba di Fabio Morgera, il sax di Jerry Bergonzi e, in alcuni brani, anche quello del pugliese Michele Carrabba, per un disco nel quale la cifra jazzistica non fa sconti a nessuno e segue opportunamente solo il rigore stilistico, l’entusiasmo, senza ammiccamenti modaioli di sorta.
L’apertura di East Side Blue, con i suoi aromi di balkan jazz, sembra quasi pensata a mo’ di prologo per Zoltan, che Shaw compose in omaggio al musicista ungherese Zoltan Kodaly. Seguono poi due brani originali di Di Modugno, il ternario Jury’s Bite, in slow tempo e il gustoso Sidran, del quale si apprezza l’afrolatin beat. Tipicamente in stile Blue Note è poi anche Tilt di Bergonzi, protagonista anche del succitato Softly... con un aspro assolo di sax. In The Moontrane, Carrabba si dimostra ben all’altezza dei blasonati colleghi, mentre di nuovo Di Modugno firma gli indovinati Clemmy e Unity, espresso omaggio alla registrazione di Shaw, mentre tocca a Morgera chiudere la scaletta con The Incredible Truth, che sembra riproporre gli aromi levantini del brano iniziale.
Un cd che piacerà, c’è da starne certi e che continuerà a consolidare la fama di Di Modugno al di là dell’Oceano. ( Tratto dalla Gazzetta Del Mezzogiono )
VITO DI MODUGNO ORGAN COMBO
feat. JERRY BERGONZI & FABIO MORGERA
PIETRO CONDORELLI, GUITAR
MASSIMO MANZI, DRUMS
MICHELE CARRABBA, SOPRANO & T. SAXES
JERRY BERGONZI, T. SAX
FABIO MORGERA, TRUMPET
Tracks
1. East side blue (V. Di Modugno) 8,54
2. Zoltan (W. Shaw) 6,41
3. Jury's bite (V. Di Modugno) 7,02
4. Sidran (V. Di Modugno) 6,51
5. Tilt (J. Bergonzi) 7,18
6. Softly (S. Romberg) 6,52
7. The moontrane (W. Shaw) 4,28
8. Clemmy (V. Di Modugno) 6,33
9. Unity (V. Di Modugno) 6,15
10. The incredible truth (F. Morgera) 4,32
Pablo Bobrowicky - Southern Blue
Esiste un libro che può dirci molte cose su Pablo Bobrowicky. L’ho scoperto per caso, prima ancora di ricevere l’incarico di scrivere le note di Southern Blue. Nel leggere Evaristo Carriego di Jorge Luis Borges, realizzavo che tra le pagine e la vicenda del chitarrista, i punti di contatto erano molteplici.
L’essere argentino è il primo tratto comune tra Evaristo e Pablo. «Sebbene i miei parenti e genitori siano immigrati, la mia cultura è argentina; sono proprio loro che lo hanno fortemente voluto. Ho ereditato un cognome “straniero”, che viene da lontano ed è difficile da pronunciare». Pablo non è creolo, ma come Evaristo è senz’altro porteño: «Sono nato e vivo a Buenos Aires da sempre. Questa città è molto simile a New York, un crocevia di razze capace di generare simultaneamente una nuova cultura locale».
Le ‘razze’ di cui parla Pablo, sono discendenti neanche troppo lontane di quelle che abitavano il quartiere Palermo raccontato in Evaristo Carriego. Émir Rodriguez Monegal dice che Borges, scrivendone la biografia, salva Evaristo, poeta minore realmente vissuto (1883-1912) e il suo mondo dall’oblio, una Buenos Aires «di cattivi ragazzi, piccole genti, di tango e duelli al coltello»; Pablo invece, ‘salva’ tradizioni musicali di quello ‘stesso’ mondo; le ricostruisce, integrandole e sintetizzandole col jazz. «Qui ci sono molti artisti, poeti, compositori, che esprimono genuinamente i mondi delle genti, come fanno il jazz e la musica classica, ma non sono considerati universali. Sono inevitabilmente impregnato di quest’arte e non posso smettere di stimarla, viverci attraverso, godermela; è quello che respiro e spesso lo trasformo in jazz, il linguaggio che ho deciso di esprimere».
Pablo come Borges lavora dall’interno, conosce i luoghi, i lineamenti dell’etnie, il suo ‘panorama’, riprendendo un’indovinata intuizione di Mark Corroto, ‘evoca’ la vita e per questo è di valore inestimabile: «la musica popolare è l’espressione delle genti e non l’invenzione di una sola persona». Sin da bambino, suona musica popolare argentina e jazz, ma limitare la sua conoscenza al solo folklore locale, significa negare il più ampio oscillare tra le tradizioni. È stato il grande musicista Norberto Minichillo a fargli comprendere come jazzificare il folklore, in un continuo processo di andata e ritorno col jazz: «Per tre anni ho lavorato con Norberto che mi ha aiutato ad esprimere in jazz la musica popolare e viceversa».
La prova di questo procedere ci veniva fornita in “South of the world” (Red 269), un disco avanguardistico, realizzato con Minichillo e Luis Agudo («L’uso che quei due facevano delle forme popolari era impressionante»), in cui una profonda conoscenza dei linguaggi potenziata da una conturbante naturalezza espressiva, permetteva un trascendimento degli stessi. L’indefinibilità delle musiche diveniva la forza del disco – brani come De Buenos Aires a Rio e Tierra, Aire Y Fuego rifuggono ogni etichetta. Fu invece Jim Hall ad accorciare la distanza tra Pablo e la ‘tradizione’ jazz: «Lui mi diede il titolo di “chitarrista jazz” e l’impulso per diventare una vero “Zen teacher”».
Nel punto di confluenza tra l’esperienze con Minichillo e gli studi con Hall, si trova la forza innovatrice di Pablo Bobrowicky, da cui emerge un jazz nuovo. Il suono e il fraseggio immediatamente riconoscibili, il personalissimo senso del tempo, sono vettori di una prospettiva differente e pertanto unica, segnata da tratti tipicamente argentini e sudamericani. Pablo è riuscito a calamitare il nord è il sud delle Americhe. Bisogna tornare al primo Gato Barbieri o ai lavori di Norberto Minichillo per rintracciare qualcosa di simile, che qui trova una definitiva compiutezza.
Standard, folk poetry, e inedite fusioni (come scorporare il tema di Barbados dall’incalzante Murga Urugaya messa in moto da Pepi Teveira?) compongono Southern Blue. Dai sessantasette minuti di Where we are (Red 288) si è passati ai cinquanta di quest’ultimo lavoro. «Per me la durata ideale di una registrazione è di quaranta minuti; lo stesso tempo sul quale organizzo il set live. Così facendo soddisfo il pubblico, lasciandolo con un pizzico di desiderio. Southern Blue prevede quaranta minuti in trio e dieci in solo; credo che ci sia un buon equilibrio». Davvero dettagli? Può darsi; ma anche indicatori dell’attenzione che Bobrowicky rivolge a tutti gli aspetti del suo essere musicista.
Accanto a Pepi Teveira («Pepi is my musical brother») uno dei più quotati e richiesti contrabbassisti d’area newyorkese: Ben Street. Nuovamente, la scelta non è stata casuale: «Nel 1994, durante il mio soggiorno a New York, ho suonato in una session con Pepi e Ben e da quel momento ho voluto registrare con loro. Quindici anni dopo, grazie al supporto della Red, quel “sogno” è divenuto realtà. Devo ringraziare Ben per la sua collaborazione, per avere viaggiato da New York a Buenos Aires quand’era necessario». D’allora Ben Street ha suonato e registrato con alcuni dei più interessanti jazzisti emersi nell’ultimo quindicennio (due pianisti su tutti: Edward Simon e Danilo Perez). Oltre a Pablo, ha accompagnato chitarristi come Ben Monder, Kurt Rosenwinkel e più recentemente Lage Lund.
In Southern Blue il suo ruolo è quello di sostenere e alleggerire i pesi. Se in Where We Are il carico solistico gravava in gran parte sulle spalle di Pablo, ora i compiti sono ripartiti. La cavata di Ben favorisce l’insieme, contribuendo a formare un suono sferico, che mantiene rotondità e densità nonostante il continuo rimbalzare tra i brani. Pablo e Ben s’inseguono come nel caso dell’esposizione tematica di Sos Vos?, la sola composizione firmata Bobrowicky, il brano più out del disco, basato sulla splendida All The Things You Are: «Ho cambiato il tempo da 4/4 a 3/4, modificato la melodia e qualche accordo». Il tema destabilizzante viene tenuto sotto controllo dall’interplay del trio e dalle linee quasi complementari di chitarra e basso. Ben muove il solo sulla reiterazione di brevi figure melodiche continuamente alzate e abbassate lungo il manico.
Quando il trio rallenta, relax e lirismo entrano in gioco. Il bolero cubano Eclipse de Luna (AABA form), la canzone brasiliana Luiza (in 3/4, tema di 24 battute) incarnano il quiet mood del terzetto. Pepi lavora con le spazzole poche figurazioni, gli armonici di Ben vibrano tra le frasi della chitarra. L’attenzione è votata al suono e a poche note che pesano come macigni: Pablo è maestro in questo.
I suoi soli si sviluppano senza fretta, lui stesso è persuaso che con poco si può dire tutto. Vale quanto Horace Parlan diceva di Grant Green: «[He has] the natural ability to know when not to play». Per trovare il suo spazio, in un universo chitarristico che predilige la velocità e l’urgenza inespressiva, torna indietro in cerca dei propri referenti: «Ciò che più mi attrae in un musicista è il suono, sentire che mi “parla”, che mi racconta una storia, una poesia, qualche segreto della sua anima. Un esempio di questa sintesi è Lester Young». Come Prez, si attacca alle melodie senza mai lasciarle, divenendo un raffinatissimo improvvisatore ‘orizzontale’. Nel subordinare la tecnica al feeling ci espone una visione del mondo e della musica, oggigiorno quasi sempre assente: «Spesso noi musicisti ci dimentichiamo del pubblico; pensiamo troppo a noi stessi, la rincorsa al successo e alla reputazione, ci rimuove dalle cose genuine. Personalmente vorrei che il disco e il suono, aiutassero l’ascoltatore a sognare, divertirsi, condividere momenti, amicizie, solitudini».
Ad un suono svincolato dai modelli, ottenuto lavorandoci ‘sopra’ senza sosta («Ogni tanto, quando suono delle linee, utilizzo un octavador analogico»), Pablo associa un innato senso dello swing. Tempi, metri, il ‘sentire’ ritmico di Southern Blue, ne sono pervasi. Coabitano nel chitarrista sia il quattro tipico del jazz sia ritmi provenienti da altre tradizioni e culture: «Molte musiche, dalle quali il jazz non è escluso, condividono una radice afro, la presenza di poliritmie, metri come 3/4, 6/8 e anche 4/4». Pablo è un ‘narratore’ che ha molto da raccontare e sa come farlo.
Chi ha suono genera suoni, e infatti dietro all’apparente ed ingannevole semplicità del trio, si celano segreti. Occorre attenzione per sentire come vengono accompagnati i chorus e i break di Ben Street in Luiza e Cottontail: suoni inaspettati e inauditi, ottenuti grazie a una fine cesellatura dei volumi tenuti a valori minimi («Lavoro molto sul sound acustico della chitarra cercando di tirar fuori un insieme di colori il più possibile utilizzabile. Cerco di farlo tutti i giorni»).
La Gibson ES175 diviene un armamentario timbrico. Il sound più convenzionale dell’accompagnamento di “C” Jam Blues si scontra con il palm muting del bridge di Rhythm-A-Ning eseguito all’unisono con Ben Street. Si può discutere sugli aggettivi adottati, ma non si può non notare la differenza tra la chitarra materica e metallica di Cottontail e quella più chiusa e ovattata di Rhythm-A-Ning.
L’intera poetica di Southern Blue è però racchiusa in Idle Moments. Non c’è miglior brano che può illustrarcela. Il beat viene rallentato, Pepi riprende in mano le spazzole, le trentadue battute del tema così come l’incedere bluesy di Pablo, vengono immersi nelle stesse atmosfere smooth e malinconiche di Eclipse de Luna e Luiza, non a caso due brani sudamericani. Il trattamento a cui viene sottoposto il brano di Duke Pearson, lo carica di nuovi significati. Se come dice Borges a proposito del tango: «La solitudine, come nel blues e nelle letterature sudamericane, fu un tema d’elezione», allora quello che si ascolta diviene progressivamente spleen porteño. Con gran senso della ‘storia’, il trio riveste uno dei brani-capolavoro del jazz con un velo ricamato in Sudamerica. Non solo. Registrare Idle Moments – ne è responsabile il produttore Sergio Veschi – significa rendere omaggio all’omonimo disco di Grant Green (Blue Note, reg. 1963), una delle session più belle e dimenticate della storia jazz, a cui presero parte musicisti come Joe Henderson e Bobby Hutcherson. Esistono rarissime riprese del pezzo (una, recente, contenuta in “On Fire” di Mike LeDonne) ragion per cui, la versione del Southern Blue’s trio diventa ancora più preziosa.
Argentina, Brasile, Uruguay, Cuba. Il jazz. Lo sguardo di Pablo va ben oltre il Rio de la Plata, le sue orecchie hanno filtrato suoni provenienti da un continente intero. Ecco perché prendendo in prestito una figura retorica, la sua Buenos Aires può essere letta come una metafora del Sudamerica. D’altronde anche quella di Evaristo era popolata d’italici, creoli, altri sudamericani… Di fronte a Southern Blue lo stesso concetto di latin si sfilaccia e la musica di Pablo Bobrowicky viene a coincidere con l’idea, più geograficamente e musicalmente ampia, di jazz sudamericano.
Luca Civelli – Musica Jazz
Edward Simon - La Bikina
Il miglior pianista della sua generazione nella sua opera seminale osannato dalla critica e da musicisti come Herbie Mann, Bobby Watson, Terence Blanchard, Paquito De Rivera, Greg Hosby etc. Un disco fondamentale nel jazz del 2000 fra jazz, folk, caraibi e latin tinge
Edward Simon, piano;
Adam Cruz, drums, pans & percussion (tk4);
Ben Street, bass;
Mark Turner, tenor sax;
David Binney, alto sax;
Pernel Saturnino, percussion;
Diego Urcola, trumpet;
Milton Cardona, vocals
Tracks
The Prayer
Uncertainty
The Process .
El Manicero (The Peanut Vendor) Part 1
La Bikina
Qunita Anauco
The Cha Cha
Ericka
El Manicero Part 2
The process by which Simon became an internationally regarded jazz musician began in the small coastal town of Cardón, Venezuela, where he grew up surrounded by the sounds of Latin and Caribbean music. Born in 1969, Simon credits his father, Hadsy, for developing his passion for music and supporting him and his two brothers, Marlon and Michael, to become professional musicians.
He attended the Philadelphia Performing Arts School, graduating at 15, then received a music scholarship from the University of the Arts where he studied classical music with concert pianist Susan Starr. Later he transferred to the Manhattan School of Music where he studied jazz piano with Harold Danko.
Upon arriving on the New York jazz scene in 1989, his reputation as a pensive, rhythmically astute, versatile player caught the ear of noted musicians Greg Osby, Jerry Gonzalez, Bobby Hutcherson, Herbie Mann, Kevin Eubanks and Paquito D’Rivera, all of who would later employ him. In 1989 Simon took the piano chair in Bobby Watson’s influential group Horizon (1989-94), later moving to the Terence Blanchard Group (1994-2002).
Simon made his first recording as a leader in 1994 (Beauty Within, Audioquest), giving birth to the Edward Simon Trio–- the same year he took third place in the Thelonious Monk International Jazz Piano Competition. Since then he has founded, established and served as musical director of several jazz ensembles such as: the Edward Simon Quartet, Ensemble Venezuela and Afinidad. Today, the Edward Simon Trio has become an established voice with five recordings and recent performances at such well-known jazz venues as the Village Vanguard, Jazz Bakery and Casa del Jazz.
Fueled by a strong desire to break boundaries through improvised music, in 2000 Simon co-founded the quartet Afinidad with saxophonist/composer David Binney, which includes bassist Scott Colley and drummer Antonio Sanchez. Afinidad's mission is to create and perform eclectic contemporary American music with a focus on jazz, reflecting a wide range of musical influences such as Pop, Brazilian, Latin American and contemporary classical music. With this ensemble he produced two critically acclaimed recordings: Afinidad (Red Records, 2001) and Oceanos (Criss Cross, 2007). In 2008, Chamber Music America awarded Simon a New Works: Creation and Presentation Program grant (2008-09) to compose and present Sorrows and Triumphs, a work for Afinidad and special guest artists guitarist Adam Rogers, vocalist Gretchen Parlato and percussionist Rogerio Boccato.
At the same time, Simon has become increasingly interested in the folk music of his native land. In 2003 he founded Ensemble Venezuela, an outlet for exploring the marriage between jazz and Venezuelan music through new works and arrangements of works by Venezuelan masters. Two years later he was awarded a second grant from Chamber Music America to compose and perform the Venezuelan Suite, a work that crosses the barriers between jazz, chamber music and Venezuelan folk music. Considered by some to be his most important work to date, the Venezuelan Suite inspired the creation of a series of abstract paintings by artist Ellen Priest: "Jazz Paintings on Paper: Improvisations on the Venezuela Suite."
Simon has received Fellowships in Music Composition from the Pennsylvania Council on the Arts (2005), the State of Florida (2007) and the New York Foundation for the Arts (2008).
He has served as faculty at the New School for Jazz and Contemporary Music, the City College of New York and the University of the Arts. He has taught master classes and clinics at music conservatories and universities around the world and continues to teach piano and improvisation at the New School for Jazz and Contemporary Music. He has been honored on two different occasions (1999, 2004) for this work with a Certificate of Appreciation for Outstanding Service to Jazz Education from the International Association for Jazz Education. In 2008 Simon had the rare opportunity to share his knowledge and experience with fellow Venezuelans. Thanks to a grant from the J. William Fulbright Foreign Scholarship Board and The U.S. Department of State, he was a visiting professor at the Instituto Universitario de Estudios Musicales in Caracas, Venezuela.
Simon has recorded 10 critically acclaimed albums as leader, including two New York Times Top Ten Jazz Records of the Year: Edward Simon (1995) and Simplicitas (2005). He has appeared as guest artist on more than 50 recordings, including Paquito D'Rivera's Grammy Award winning Funk Tango (Best Latin Jazz Album, 2007) and several Grammy Award nominated albums.
His performing career spans 20 years of international touring as pianist with prominent artists and ensembles. His recent collaborations include Don Byron, Miguel Zenon, Luciana Souza, Paquito D’Rivera and John Patitucci.
In 2010 Simon was named Guggenheim Fellow by the John Simon Guggenheim Memorial Foundation. He is currently a member of the San Francisco Jazz Collective, a prominent musician/composer jazz ensemble dedicated to creating new work and highlighting the music of historically significant jazz composers of the modern era. The Collective is comprised of “eight of the most in-demand” (New York Times) artists performing today.
AWARDS & HONORS
MacDowell Fellow, 2011
Guggenheim Fellowship, 2010
New York Foundation for the Arts Fellowship in Music Composition, 2008
Chamber Music America, New Works: Creation and Presentation Program, 2008 | 2004
Fulbright Senior Specialist, The J. William Fulbright Scholarship Board, 2008
State of Florida Music Composition Fellowship, 2007
New York Times Top Ten Jazz Records of the Year, 2005 | 1995
Certificate of Appreciation for Contributions in Promoting Venezuelan Culture and Outstanding Accomplishments in the Field of Jazz, The Embassy of the Bolivarian Republic of Venezuela, 2005
Pennsylvania Council on the Arts Fellowship in Jazz Composition, 2005